Luciano Attolico: “Ridare centralità alle persone fa risparmiare”
(Dall’inviato Matteo Minà) Parola d’ordine: ridurre gli sprechi. Imperativo oggi più che mai in voga in Italia, visto che quasi quotidianamente le cronache ci consegnano casi di mala gestione di soldi e risorse, sopratutto pubbliche. Ma anche nel settore privato le aziende, dovendo districarsi tra maggiori difficoltà economiche, dalla crisi di mercato, agli aumenti di imposte, fino a una crescente concorrenza globale, sono sempre più alla ricerca del lean manager (manager anti sprechi) da inserire negli organici. Tanto che la società di recruitment Michael Page ha fotografato questa nuova professione come una delle cinque più richieste dal mercato del lavoro. Proprio con questo obiettivo Lenovys, società di consulenza e formazione fondata nel 2009 e con sedi a Milano e Livorno, ha organizzato tra fine ottobre e il mese scorso a Firenze il primo master italiano in Lean Lifestyle. Con lo scopo di far diventare il lean thinking (pensiero snello, termine che nasce dallo studio del modello produttivo della casa automobilistica Toyota), non solo una strategia operativa nel mondo del lavoro, ma sopratutto uno stile di vita. Partendo dall’assunto che non si può andare a caccia di consumi inutili se prima non è quantificato cosa sia il valore aggiunto. Ma anche che sia primario venire fuori dalla zona di assuefazione dagli sprechi. Durante la quattro giorni fiorentina hanno partecipato oltre settanta tra titolari o rappresentanti di aziende provenienti da diverse aree della Penisola. Per una tematica, quella del Lean Lifestyle, che può essere estesa anche a tutte le realtà pubbliche. Come ha spiegato in questa intervista a Partenope.org, durante uno dei giorni d’aula, Luciano Attolico, co-fondatore e managing director di Lenovys.
Ingegner Attolico, su cosa focalizzarsi per mettere in pratica la vostra metodologia su certe istituzioni pubbliche farraginose e spesso incancrenite come se ne trovano molte a Napoli e in Campania?
Innanzitutto non bisogna cedere alla tentazione di sforbiciare qua e là con una spending review che spesso ha l’unico effetto di penalizzare la qualità del prodotto-servizio, come già sperimentato dai Governi italiani alle prese con l’ottimizzazione dei costi. In qualsiasi contesto aziendale bisogna tornare a dare centralità alle persone. Spesso all’interno dei grandi carrozzoni pubblici i dipendenti non si sentono più tali, sono considerati dei numeri. In questo status nessuno di loro tirerà mai fuori delle idee di miglioramento, anzi cercheranno di impegnarsi il meno possibile perché non hanno nessun sentimento di appartenenza a qualcosa di importante.
Come fare in concreto?
Facendo tornare le persone a sentirsi tali sul piano fisico, emozionale. Nessuno in questi contesti dice grazie, pertanto spesso i dipendenti restituiscono questa indifferenza al cittadino. La chiave di volta è ripartire dalle azioni invisibili per trasformarle in tangibili. Insomma, non da procedure standard usate in altre aziende con un livello evolutivo più alto. Molti contesti che erano debilitati da questo punto di vista sono riusciti a rimettere in moto la macchina organizzativa.
Quale è una possibile ricetta?
Faccio tre esempi, non in ordine di priorità. Il primo: ascoltare le persone nelle loro idee di miglioramento, nessuno di solito lo fa e la frustrazione cresce perché vedrebbero delle opportunità nel loro ambiente di lavoro, ma a nessuno interessano i relativi feedback. Il secondo: mettere in pratica qualcosa di concreto, fare vedere che quello che arriva dal basso può essere parte delle attività tangibili di sviluppo. Se parli molto, ma non cambi mai, le persone non si fidano del processo. Infine, va creato un contesto di divulgazione dei punti di forza interni e del processo in atto.
Molte volte al cambiamento prevale la frase “abbiamo sempre fatto così”. Quali attività può intraprendere la classe politica per dare un buon esempio alla base?
Uno dei processi che i top leader devono mettere in atto per essere seguiti è mostrarsi coerenti, nel senso di avere un valore ed esserne esempio. Si crea distacco tra la politica e i cittadini per l’incoerenza tra il dire e il fare. Un aspetto che in Italia soffriamo parecchio, sia in politica che in certi gruppi imprenditoriali, nei quali si professano certi valori, ma in pratica la realtà è diversa. Ed ecco che si crea un gap anche verso altri processi positivi. I politici devono dare l’esempio alla comunità rendendo pubblici i valori e sopratutto rispettandoli.
Tutte queste regole non si scontrano con la lentezza e le lungaggini della burocrazia?
Per rispondere uso la metafora della cipolla, ovvero in qualsiasi contesto o gruppo ci sono sempre dei livelli o strati, tre nel nostro caso. Un primo in cui non si può fare nulla, la persona non ha influenza per cambiare e deve prenderne atto. Un secondo strato in cui forse non si hanno a disposizione leve per modificare il contesto, ma è possibile iniziare il cambiamento influenzando, senza costringere, gli altri. Ognuno di noi non si rende conto del potere di influenza che ha. Poi un ultimo livello in cui una persona dispone sia delle leve che delle influenze, piccole o grandi che siano, ma sempre da mettere in pratica e da lì partire. Bisogna insomma rendersi conto che non possiamo cambiare tutto, ma farsi la domanda opposta.
Ovvero?
Ognuno di noi deve chiedersi cosa può fare, anche un piccolo apporto può essere risolutivo. Ecco che anche il minimo cambiamento, in ottica di Lean Lifestyle, diventerà come una marea!