I greci prima dei greci
Che la fondazione di Napoli avvenne nel V secolo avanti Cristo è un luogo comune, che non trova riscontro nella realtà. Infatti, gli originari insediamenti umani stabili nell’area napoletana, rimontano addirittura di 1.600 anni prima di Cristo. Oggi, questa tesi è suffragata anche da prove scientifiche e conferma che la Città conta almeno 3.600 anni. Età di tutto rispetto, se paragonata, ad esempio, alla data di fondazione di Roma, il 21 aprile dell’anno 753 a.C. Basti pensare che Napoli già è abitata, quando, nel 1291 a.C., in Egitto sale al potere Ramses I, il faraone che, secondo il racconto del Libro dell’Esodo, soggiogò in schiavitù il popolo d’Israele, temendo che la comunità degli israeliti stesse diventando troppo numerosa e quindi pericolosa per il proprio regno. Per la fondazione di Napoli, quindi, parliamo di un periodo di molto anteriore alla colonizzazione ellenica dell’Italia Meridionale dei secoli VIII e VII a.C., con la nascita delle poleis coloniali e della Magna Grecia. Prima di allora, già nel XIV secolo, giungono sulle nostre coste i micenei, esperti navigatori, commerciati e progenitori della stessa civiltà greca, in pratica gente di etnia greca. Si tratta di esploratori achei d’Anatolia e di Cipro.
In particolare, la traccia scritta più antica di questi viaggi commerciali è databile alla fine del XIII secolo a.C. e viene rinvenuta a Pilo (l’odierna Pylos-Navarino), città greca del Peloponneso, più volte citata nei poemi omerici quale patria di Neleo e del figlio Nestore. Qui, una campagna di scavi archeologici, partiti nel 1939 e conclusasi nel 1958 porta alla luce ben due palazzi reali. Costruzioni in ottimo stato di conservazione che, cronologicamente, coincidono con le tradizioni leggendarie legate all’affermazione prima di Neleo e successivamente del figlio Nestore. Nel sito archeologico vengono dissotterrati resti antichissimi, anteriori al 1300 a.C., un palazzo databile al 1280 e uno successivo databile al 1250. Al centro della struttura (megarion), gli archeologi scoprono il famoso archivio di tavolette micenee . Si tratta di tabelle commerciali, annotazioni contabili del Palazzo reale. Da queste tavolette si evince come alcuni insediamenti in Puglia, nel Lazio e in Toscana sono classificati come distretti del regno di Pilo.
Nei punti d’approdo delle loro rotte commerciali, gli antichi micenei erano soliti creare dei fondaci, cioè piccole colonie autosufficienti, stazioni di supporto per ulteriori viaggi e preludio a un’eventuale, futura colonizzazione. Siccome il Golfo di Napoli rientrava nella loro rotta verso Lazio, Toscana, Sardegna e Penisola Iberica, vi hanno lasciato tracce ben chiare della loro passaggio, che archeologi, paleontologi sono riusciti a individuare.
Quindi, a Napoli e in tutta l’Italia Meridionale, prima della colonizzazione greca dei secoli VIII e VII a.C., sono già presenti popolazioni greche. Genti di quella stessa etnia che sarà anche la matrice della Grecia classica. Questi primi colonizzatori, a cavallo tra la protostoria e la storia, si muovono sulla via dei metalli, a caccia di rame e stagno, spinti soprattutto dalle loro grandi abilità commerciali. Presentano, però, una specificità, una caratteristica culturale insolita, rispetto ad altre popolazioni che avevano solcato i mari in tempi precedenti: sono curiosi e hanno una mentalità particolarmente aperta. Nelle loro lunghe rotte, fanno tesoro delle esperienze e delle conoscenze delle tante, diverse culture con le quali vengono a contatto. Sono dotati, inoltre, di uno spirito di osservazione e di ricerca, mai visti prima, che uniscono a una grande capacità di rielaborazione delle informazioni raccolte. In pratica, questi navigatori micenei si formano una cultura sul campo e la utilizzano per migliorare la qualità della loro vita e dei loro traffici.
Quando sulla scena mondiale di allora compare il ferro, metallo miracoloso che offre la possibilità di forgiare armi invincibili, contro cui nulla possono le vecchie spade in bronzo, la civiltà micenea scopre il declino e la fine. Tutta la loro conoscenza e soprattutto la voglia e la capacità di apprendere di questo popolo innovatore, però, non vanno perse: le fanno proprie le popolazioni greche che daranno vita alle città stato nell’Egeo e alle poleis della Magna Grecia nel Meridione d’Italia. Un passaggio del testimone che porterà alla formazione della Grecia classica, ponendo le basi del moderno pensiero occidentale.
Il viaggio a ritroso, a caccia dei primi abitanti del territorio napoletano, non finisce qui. C’è la possibilità di spingersi ancora più indietro nel tempo, fino a entrare nell’era neolitica, che riserva una straordinaria sorpresa: l’ulteriore conferma della “grecità” del Meridione d’Italia. Già prima degli achei d’Anatolia e di Cipro e prima ancora della caduta di Troia (1300-1200 a.C.), le nostre terre sono abitate dagli opici. I greci, che danno loro questo nome, li considerano una popolazione autoctona. E guarda caso, l’origine degli opici è egeo-pelasgica. Con piccoli natanti e primitivi velieri, questo gruppo etnico troglodita compie traversate avventurose e approda anche sulle coste dell’Italia. Questa grande migrazione e il conseguente stanziamento nelle regioni meridionali dell’Italia sono confermate da Erodoto, da Scimno da Chio, da Virgilio, ma soprattutto da Strabone. In particolare, il geografo greco sostiene che gli opici furono il primo popolo a insediarsi stabilmente nel Golfo di Napoli e a creare un nucleo abitativo. Questa prima colonia avrebbe trovato posto sul declivio della collina di Materdei. Il tutto, sempre secondo Stabone, sarebbe avvenuto ben otto secoli prima dell’istituzione dei Giochi Olimpici, nel 776 a.C. e molto prima della guerra di Troia.