La strada intitolata al Pensiero

La strada intitolata al Pensiero

In quale altra città del mondo, se non a Napoli, qualcuno ha mai dedicato una strada al Pensiero? L’entità astratta per eccellenza. Anche più della stessa anima. Segno di una sensibilità che trova la sua origine nella cultura greca, dalla quale discende e che ancora permea quella del popolo napoletano.

Chiesa di Severino e Sossio in una gauche dell'Ottocento

Chiesa di Severino e Sossio in una gauche dell’Ottocento

Intorno alla fine del Cinquecento – lo racconta Benedetto Croce nel suo “Storie e leggende napoletane” – esisteva a Napoli un vicolo stretto e scuro, chiamato Vico Pensiero, che costeggiava l’Archivio di Stato. Allora era il monastero di San Severino. Il nome gli veniva da un bassorilievo di dubbia fattura, incassato sulla parete esterna di uno dei primi edifici della viuzza. Questo bassorilievo rappresentava un uomo seduto su uno sgabello con la testa appoggiata sulla mano destra, nella posa tipica di chi pensa. E sotto alla figura c’era una piccola lapide che riportava una scritta sibilina, interpretabile in diversi modi:“Povero pensiero me fu arrobbato, pe no le fare le spese me l’ha tornato” (Povero pensiero, mi fu rubato, ma per non pagarne le spese, mi fu restituito).
Probabile il riferimento a un furto del bassorilievo e a una successiva restituzione, forse legata al timore di una condanna per furto. Ma c’è anche un’altra interpretazione legata a una leggenda popolare di periodo medievale, che interpreta la frase della piccola lapide come un avvertimento agli uomini a non cadere nei tranelli e nelle trame ordite dalle donne.
La leggenda vuole che l’iscrizione fu posizionata da un giovane, triste per le pene d’amore patite, dopo aver conosciuto una giovane strega della quale si era invaghito perdutamente. Fu proprio la giovane, con le sue arti magiche, con le sue moine e con la sua femminilità che volle fargli perdere la testa. Quando vinse la sfida con sè stessa e negli occhi e nei pensieri del giovane non c’era altro che lei, perse qualsiasi interesse e lo abbandonò, spezzandogli il cuore.
L’incantesimo non si poteva sciogliere e il giovane continuò a vivere nei tormenti per il resto della sua vita. Con l’iscrizione del suo pensiero sulla piccola lapide cercò di lanciare un monito agli altri uomini, affinché non cadessero negli inganni della passione com’era capitato a lui.
Oggi, quel vicolo non esiste più. Fu raso al suolo durante i lavori per il Risanamento di Napoli, il grande intervento urbanistico deciso in seguito alla terribile epidemia di colera del 1884, per rinnovare la maggior parte dei quartieri storici della Città. La targa di Vico Pensiero, invece, c’è ancora ed è conservata nell’Istituto di Storia Patria, grazie all’intervento dello stesso Benedetto Croce che riuscì a convincere il proprietario dello stabile dove era affissa a donarla all’Archivio di Stato, prima che l’edificio venisse abbattuto, nel 1890.

 

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