Renzo Arbore: «La musica napoletana è la più forte d’Italia»

Renzo Arbore: «La musica napoletana è la più forte d’Italia»

Renzo Arbore

Renzo Arbore

Tra i protagonisti del nostro panorama musicale ci sono artisti che hanno fatto della musica, dell’arte o, più in generale, dello spettacolo una filosofia di vita: Renzo Arbore è sicuramente tra questi. Musicista, attore e showman, Arbore è uno dei portabandiera della musica meridionale nel Mondo, profondo conoscitore dei ritmi campani, ma anche interprete grazie alle numerose esibizioni con l’Orchestra italiana (gruppo da lui fondato nel 1991). Con questa formazione ha contribuito alla valorizzazione della canzone napoletana classica (riproposta in chiave innovativa) e alla riscoperta del mandolino. Raggiungiamo al telefono Arbore mentre si sta dirigendo in auto verso la location di un concerto a Benevento.

Lei è nato a Foggia, in Puglia: perché ha scelto di valorizzare la musica napoletana, e non, per esempio, la tradizione del Salento?

«Sono anche appassionato di musica pugliese, in particolare quella del Gargano e salentina. Però, indubbiamente quando decisi di fondare l’Orchestra italiana, la canzone napoletana d’autore stava per essere dimenticata dalle nuove generazioni, perché veniva identificata come musica del passato. Ciò mi sembrava ingiusto, visto che ho comunque Napoli nel DNA perché mia madre è partenopea. Voglio poi ricordare che altri pugliesi, prima di me, hanno seguito la musica napoletana, per primo Domenico Modugno, che ha scritto dei capolavori in dialetto partenopeo o composizioni in siciliano pur provenendo da Polignano a Mare.»

In che cosa consiste l’opera di “svecchiamento” che l’Orchestra italiana applica alle antiche canzoni?

«Ho ritenuto corretto rimettere in bella copia le melodie classiche, contaminandole con altri generi, come il jazz o lo swing, e per far questo mi sono contornato, tra gli altri, di dodici musicisti napoletani. Abbiamo dovuto studiare a fondo ogni singolo brano, perché la canzone napoletana ha tre o quattro forme e stili. Anema e core è completamente diversa, come struttura, da ‘O sole mio. Gli arrangiamenti live, per esempio, partono dalla tradizione: vengono modificati i ritmi, lasciando inalterati le melodie e le armonie.»

Lei ha in qualche modo contestualizzato la musica napoletana classica, rendendola fruibile a un vasto pubblico giovanile: qual è la situazione delle altre tradizioni musicali del nostro Paese?

«È un vero peccato che non ci siano dei musicofili o intellettuali che cercano di recuperare un filone di canzoni ingiustamente penalizzate dalla tecnologia obsoleta. Molti brani, come quelli del fiorentinoOdoardo Spadaro, si sono scontrati con il 78 giri e con sistemi di registrazione oggi difficili da riascoltare e, quindi, da far apprezzare alle nuove generazioni.»

Come risolverebbe il problema?

«Le istituzioni per prime dovrebbero valorizzare la musica di coloro che hanno scritto brani legati alle regioni; tutta la musica folcloristica italiana rischia di essere dimenticata. Negli Anni ’60, veniva rappresentata in festival ad hoc, come per esempio quello di Livorno: rimettere in piedi questo tipo di manifestazioni potrebbe essere già un primo passo.»

Renzo Arbore

Renzo Arbore

Torniamo alla Campania: perché in ambito musicale, nell’immaginario comune, Napoli prevale su tutto il resto del territorio?

«Perché il focolaio, ci piaccia o no, è nella città di Napoli, che, con tutti i suoi pregi e difetti, resta sempre la capitale della cultura del Sud. Napoli ha delineato il teatro, la giurisprudenza, il sapere filosofico e si attesta come centro culturale straordinario. A Paestum e Velia si sono, però, formati centri di sapere in epoca antecedente. Lo so, ci sono mille altre civiltà importanti, diciamo però che a Napoli c’è proprio stato un fulcro. Basti pensare che, fino agli Anni ’60 del secolo scorso, le canzoni nascevano sopratutto in questa città, insomma la diffusione della canzone napoletana era parallela a quella italiana.»

Lei è considerato ambasciatore nel mondo della musica napoletana: se le proponessero di allargare il raggio, includendo tutta la Campania?

«Lo farei di certo, anche se la mia missione, insieme all’Orchestra italiana, è quella di restaurare la canzone partenopea d’autore. La musica campana comprende bravissimi esecutori anche fuori dai confini del capoluogo, la Nuova compagnia di canto popolare è tra questi. Sono però convinto che quella napoletana sarà la canzone più longeva, che verrà all’orecchio delle generazioni future perché, ormai, ha già superato l’esame del tempo.»

 

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