La lunga storia del Presepe napoletano
Nel suo “Viaggio in Italia”, nel 1787, J.W. Goethedefiniva il presepe uno “svago che è caratteristico dei napoletani”. Consolidata è, infatti, la tradizione presepiale nel capoluogo partenopeo. I primi cenni di un presepe a Napoli, risalenti al 1025, li ritroviamo nella Chiesa di Santa Maria del presepe. Anche nella Costiera amalfitana, la tradizione presepiale vanta origini antiche, si ha infatti notizia dell’esistenza, ad Amalfi, nel 1324, di una “cappella del presepe di casa d’Alagni”. Nel Quattrocento, vennero allestite in chiese o cappelle le prime rappresentazioni presepiali. Tra le più importanti, sono da ricordare quelle dei presepi di San Giovanni a Carbonara, San Domenico Maggiore, Sant’Eligio e Santa Chiara. Si tratta di statue lignee policrome a grandezza naturale, poste davanti a un fondale dipinto. Verso la metà del 500, con l’abbandono del simbolismo medioevale, nacque il presepe moderno. Secondo la tradizione, il merito di questa innovazione è da attribuirsi a San Gaetano da Thiene, che nel 1530 realizzò, nell’oratorio di Santa Maria della Stelletta, presso l’Ospedale degli Incurabili, un presepe con figure in legno, abbigliate secondo l’uso del tempo. Nel corso del secolo, il paesaggio in rilievo andò, via via, sostituendo il dipinto; al bue e all’asinello, unici animali fino ad allora presenti nella rappresentazione, se ne aggiunsero altri. Le dimensioni delle figure si ridussero, fino a giungere alla realizzazione del primo presepe mobile a figure articolabili, allestito dai padri Scolopi nel 1627. Ma il secolo d’oro del presepe a Napoli resta il Settecento. Durante il regno di Carlo III di Borbone, si assistè a una florida produzione presepiale. Il sovrano nutrì per il presepe una vera passione, tanto da coinvolgere la propria famiglia e la corte nella vestizione di pastori, nonché nella realizzazione del presepe allestito nelle sale del Palazzo reale. Il presepe uscì dalle chiese dove era stato oggetto di devozione religiosa, per entrare nelle case dell’aristocrazia. Nacque il pastore, che andava a sostituire la statua scolpita. Si trattava di manichini aventi il corpo in fil di ferro, che ne garantiva la flessibilità, ricoperto di in stoppa, erano vestiti di tessuti di pregio e, quelli che riproducevano personaggi di rilievo, venivano agghindati con gioielli, perle e pietre preziose. Avevano teste modellate in terracotta dipinta, occhi di vetro, arti in legno anch’esso dipinto. L’artigiano che li realizzava era chiamato figurinaio. Cambiò anche lo scenario. Ai tre episodi evangelici, la Nascita nella grotta-stalla, l’Annuncio degli angeli ai pastori addormentati e l’osteria con gli avventori intenti a banchettare, si affiancarono il corteo dei Re Magi e la fontana, con le scene di costume. Argentieri e gioiellieri famosi furono chiamati a realizzare armi, strumenti musicali, vasi preziosi e altri ornamenti dei personaggi del corteo dei Magi.
Cera colorata era usata per la frutta e le cibarie esposte nei banchetti o consumate nelle taverne. La grotta, sotto l’influsso preromantico, si trasformò, spesso,in una capanna appoggiata ai ruderi di un antico tempio, a simboleggiare il crollo del paganesimo. Crebbe il numero dei personaggi, colti in scene che riproponevano situazioni e costumi della Napoli popolare dell’epoca. Tra i personaggi che affollano il presepe napoletano, ricordiamo Benino, il pastore addormentato, Cicci Bacco, “dio del vino” raffigurato, spesso, davanti alla cantina con un fiasco in mano, i due compari, zi’ Vicienzo e zi’ Pascale, personificazione del Carnevale e della Morte. A Napoli, leggenda vuole che nel cimitero delle Fontanelle, la gente fosse solite chiedere consigli sui numeri da giocare al lotto, a un teschio chiamato proprio “A Capa ‘e zi’ Pascale”. Oggi, alcuni pastorai di San Gregorio Armeno, la strada napoletana famosa in tutto il Mondo per la realizzazione artigianale di presepi, creano pastori, raffiguranti personaggi famosi dei nostri tempi. Una lunga tradizione sospesa tra sacro e profano, che ha fatto del presepe partenopeo “una pagina di Vangelo tradotto in dialetto napoletano”, come disse Michele Cucinello, il commediografo che donò al Museo di San Martino di Napoli la sua collezione di figure presepiali, del XVII e XIX secolo. Per l’occasione, Cuciniello fece costruire il presepe, che da lui prese il nome, tutt’oggi visibile nel museo. L’opera fu inaugurata il 28 dicembre 1879.