Il primo metrò d’Italia? Guarda caso fu napoletano
Fu la prima metropolitana d’Italia e, guarda caso, fu realizzata a Napoli. Parliamo della Linea 2 (Napoli Gianturco a Pozzuoli) gestita da Trenitalia, che serve quotidianamente circa 90.000 viaggiatori. Il testo che riportiamo di seguito ne racconta la storia. Ci è stato fornito dall’autore, Vittorio Paliotti, e fu pubblicato circa trent’anni fa, nel 1984, in uno dei suoi tantissimi libri sulla Città, “Mi disse Napoli”, edito da CieSseti.
La prima metropolitana
di Vittorio Paliotti
Un cantiere in piazza Vanvitelli, una trincea in via Bernini, un sipario metallico in piazza Medaglie d’Oro: è quanto da anni e anni si vede della nuova metropolitana. E viene spontaneo pensare all’altra metropolitana, quella tuttora efficientissima che collega piazza Gianturco con Pozzuoli; quella, insomma, che impiantata e gestita dalle Ferrovie dello Stato, ha le sue stazioni urbane intermedie a piazza Garibaldi, a piazza Cavour, a Montesanto, a piazza Amedeo e a Mergellina.
Per almeno mezzo secolo, la parola «metropolitana» ha evocato non altro, a Napoli, che quella e solo quella linea ferroviaria. «Sono fortunato: abito accanto alla fermata della metropolitana». «Il tempo di prendere la metropolitana e sono da te». Metropolitana di Napoli: è addirittura ingiusto che finora non ne sia stata tentata la storia. Dopotutto, si tratta di una storia che, per molti versi, è compresa in quella della linea direttissima Roma-Napoli.
Ripariamo dunque all’ingiustizia. E incominciamo col mettere in chiaro due punti. Primo punto: inaugurata il 20 settembre 1925, la metropolitana di Napoli fu la prima d’Italia. Secondo punto: per costruirla, cioè per scavare nel sottosuolo e ottenere tunnel lunghi circa nove chilometri, per posare binari su un percorso di circa quindici chilometri, per allestire stazioni, per montare scale mobili (anch’esse le prime d’Italia) occorsero due anni. Fatta questa indispensabile premessa, montiamo idealmente in vettura e partiamo per questo piccolo viaggio.
L’idea di dotare Napoli di una ferrovia metropolitana risale, bisogna avvertire, ad epoca antichissima, perché i problemi del traffico si sono presentati, in ogni città, molto prima dell’invenzione del motore a scoppio, e quindi dell’automobile. Un primo progetto, più romantico che fantascientifico, di ferrovia metropolitana a Napoli venne abbozzato, nel 1874, da un bizzarro scozzese, Lamont Young, e subito presentato al consiglio comunale. Indicato con la denominazione di «Metropolitana Sebezia», il progetto Lamont Young prevedeva l’istituzione di tre linee ferroviarie, parte in tunnel e parte su sopraelevata, e dotate di ascensori per il collegamento con la zona collinare. La prima linea avrebbe dovuto giovarsi di stazioni a Bagnoli, Fuorigrotta, Mergellina, San Pasquale, San Ferdinando, Posta, Museo, San Gennaro,Cristallini, Reclusorio e Ferrovie dello Stato; la seconda di stazioni a Bagnoli, Posillipo, Palazzo Donn’Anna, Torretta, Vittoria, San Ferdinando, Marina e Ferrovie dello Stato; la terza di stazioni al Vomero, ad Antignano, all’Arenella, alle Due Porte e a Capodimonte.
«La maggior parte della rete ferroviaria sarà sotterranea, e sarà di facile costruzione, perché eseguita nel tufo», scrisse testualmente Lamont Young. E aggiunse: «L’adozione della ferrovia elevata è stata prescelta onde evitare di passare al di sotto del livello del mare, e di non tagliare le fogne. Il vantaggio sarà quello di coprire il marciapiede lungo il litorale con una specie di porticato, che assicurerà ai pedoni ombra nell’estate e ricovero per la pioggia». Lo scozzese, nel suo progetto, indicò la velocità media dei vari treni (45 chilometri orari), suggerì il prezzo del biglietto (dai 10 ai 35 centesimi) e vagheggiò tutta una serie di manufatti che potevano sorgere accanto alle singole stazioni: un Palazzo di cristallo per le esposizioni, un rione lagunare, uno stabilimento balneare…. Ma fu deriso, diventò oggetto di epigrammi e poesiole, poco ci mancò che gli scugnizzi non gli dessero la baia. Lui non si scoraggiò e infatti nove anni dopo, nel 1883, ripropose il suo progetto al consiglio comunale. Fu un miracolo che non lo internassero in un manicomio. E sì che in tutta Europa, e anche in America, già da tempo ci si orientava verso la soluzione cara a Lamont Young: una metropolitana era stata inaugurata fin dal 1863 a Londra, un’altra era già parzialmente attiva a New York, una terza era stata programmata a Parigi.
Negli anni che seguirono si riparlò ancora, e più volte, a Napoli, della possibilità di istituire una linea ferroviaria metropolitana. Si riaccesero anzi, le polemiche, nel 1908, quando fu inaugurato il métro di Parigi; ma non se ne fece mai nulla. «I napoletani amano il sole, nessuno di essi accetterà mai di viaggiare nel sottosuolo», si sosteneva con pressapochistico sentimentalismo. L’occasione per discutere in termini concreti della metropolitana, anzi per poterla finalmente realizzare, si presentò nel 1923, in quel gran fervore che accompagnò la costruzione della linea ferroviaria «direttissima» Napoli-Roma. Fu deciso, proprio allora, di approntare particolari accorgimenti sulla parte terminale della linea interurbana in via di allestimento e di utilizzarla come ferrovia metropolitana: due piccioni con una sola fava.
Lì per lì, molti credettero che questo progetto di metropolitana finisse, come tanti altri, per annegare nel pantano delle buone intenzioni. La sfiducia nasceva dal fatto che erano almeno cinquant’anni che i patrii governi promettevano una direttissima Napoli-Roma: ogni tanto si posava una pietra e poi chi si è visto si è visto. I più ritennero addirittura che il solo fatto di aver voluto abbinare la messa in opera della metropolitana di Napoli con quella della direttissima Napoli-Roma dovesse far sfociare tutto fatalmente, in una colossale burla. «Non avremo né la direttissima e né la metropolitana», si diceva. I giornali umoristici dell’epoca ci forniscono ampi esempi del dilagante scetticismo.
A questo punto, ai fini dell’interpretazione di questa diffusa incredulità, è indispensabile rievocare, sia pur brevemente, le vicende connesse ai collegamenti ferroviari tra Napoli e Roma. La linea ferroviaria più antica, quella che passava addirittura per Velletri e per Segni, risaliva ad epoca preunitaria ed era stata costruita, a spezzoni, sotto il regno pontificio da una parte, e sotto quello borbonico dall’altra; solo nel 1864 si era avuto un collegamento diretto fra Napoli (entrata da quattro anni nel Regno d’Italia) e Roma (ancora appartenente al Papa) e solo nel 1892, eliminato il tortuoso percorso Cecchina-Velletri, i tempi del viaggio erano stati alquanto abbreviati. Ma erano pur tempi lunghissimi: una notte intera di insonnia, o una giornata intera di tribolazioni. Dieci, dodici ore, talvolta anche quattordici perché il percorso era disseminato di ben 641 passaggi a livello che, molto spesso, imponevano lunghe soste. Agli inizi degli anni Venti di questo secolo un viaggio da Napoli a Roma aveva ancora tutte le caratteristiche dell’avventura.
Il proposito di realizzare una direttissima Napoli-Roma fu manifestato, dai nostri parlamentari, nel 1877 mentre, alla Camera, si discuteva una legge a favore delle nuove costruzioni ferroviarie. Esattamente il 28 luglio 1879 fu stabilito, per legge, di costruire, entro tre anni, la sospirata direttissima fra Roma e Napoli. Proprio così: entro tre anni, si disse. E invece solo il 5 luglio 1882 il governo studiò le modalità degli appalti, solo nel 1907 furono elaborati i progetti di esecuzione, e solo nel 1910 furono concessi i primi fondi. Ma i lavori iniziati sulla Minturno-Napoli, furono sospesi con lo scoppio della grande guerra. Il progetto della Roma-Napoli ritornò nella mente di quegli dei che l’avevano partorito. Per sempre, si ritenne: e i napoletani che dovevano recarsi a Roma continuavano a viaggiare per una decina d’ore sulla linea ferroviaria borbonico-papalina.
Nel 1923, finalmente, un impegno preciso da parte del governo: la Napoli-Roma sarà costruita. E, stavolta, all’impegno seguirono i fatti: nuovi ponti sul Garigliano e sul Volturno, nuove gallerie, nuovi binari con curve a largo raggio in maniera da consentire ai treni più forti velocità, nuove stazioni…. In questo contesto, maturò l’idea, appunto, di utilizzare la parte terminale della direttissima come ferrovia metropolitana. Sarà vero?, si chiedevano i napoletani in quel 1923.
Era vero, era proprio vero. L’11 ottobre 1923 furono stipulati i contratti con la ditta Fratelli Giacchetti e già l’indomani i lavori avevano inizio. Entro il perimetro urbano di Napoli, si videro spuntare contemporaneamente ben sedici cantieri: quelli corrispondenti alle varie stazioni urbane e quelli per le opportune trasformazioni nell’ambito della stazione di piazza Garibaldi. Qui, in particolare, bisognò scavare un’immensa trincea, profonda nove metri, lunga 202, larga 35: il «nodo» più importante sia per i treni della futura metropolitana che della futura direttissima. L’intera città diventò, in pratica, tutto un immenso cantiere. Si lavorava in superficie e si lavorava nel sottosuolo, per l’approntamento delle gallerie e dei servizi sussidiari.
In meno di otto mesi furono scavati e portati via 90.000 metri cubi di tufo. I cinque chilometri di tratto urbano resero necessari, in molti casi, rinforzi alle fondamenta dei palazzi. Il 30 giugno 1924, comunque, gli scavi delle gallerie urbane potevano considerarsi belli e completati. Si mise mano, poi, al traforo di una galleria extraurbana, quella dei Campi Flegrei, che, per la sua vicinanza con la Solfatara, presentò maggiori difficoltà: in alcuni punti si trovò infatti una temperatura di 54 gradi e bisognò quindi montare degli speciali ventilatori. Il 16 settembre 1924, erano ultimate tutte le opere inerenti alle gallerie urbane e il rivestimento della galleria dei Campi Flegrei: un volume di oltre 37.000 metri cubi di muratura.
Si passò, subito dopo, alla posa dei binari. Nel gennaio del 1925, erano già completati gli accessi alle varie stazioni sotterranee e venivano quindi installate, a cura della ditta Otis, scale mobili a piazza Cavour e a Montesanto (soltanto a Londra, a Parigi e a New York erano state adottate, prima di allora); si procedeva, inoltre, nei lavori per la costruzione delle stazioni di Mergellina e dei Campi Flegrei. Particolari cure si ebbero, naturalmente, per la stazione di Mergellina, che doveva fare anche da capolinea alla direttissima Napoli-Roma: il progetto era stato affidato all’ingegner G.B. Milani che scelse uno stile architettonico evocante il barocchetto romano.
A mano a mano che i lavori proseguivano, si assottigliava, naturalmente, anche lo scetticismo dei napoletani. Sui giornali umoristici non comparivano più vignette sarcastiche, bensì narrazioni in positivo, sull’efficienza dei funzionari delle ferrovie e, in particolare, dell’ingegner Carlo Origlia, il direttore compartimentale. Il generale entusiasmo aumentò maggiormente quando, a metà settembre del 1925, fu annunciato che tutto era pronto: i lavori erano costati, complessivamente, 115 milioni.
Il 20 settembre, manifestazione ufficiale. Alle nove del mattino, il ministro delle comunicazioni, Costanzo Ciano, e il sottosegretario ai lavori pubblici, Giovanni Giurati, presero posto sul treno inaugurale, lì, alla stazione centrale, tra due ali di folla. Le cronache di allora ci hanno tramandato anche i nomi dei macchinisti che guidarono il treno della prima metropolitana d’Italia: Di Saverio e Greco. Nonché i nomi degli altri ferrovieri che curarono i vari servizi collaterali: Mattei, Tancredi, Caturano, Di Filippo, Di Stasio e Scipano. Nel pomeriggio, la metropolitana fu aperta al pubblico pagante. Furono venduti, subito, 7.575 biglietti. Dalle diciotto alle ventiquattro, viaggiarono ventimila persone, oltre agli invitati. Un biglietto costava venti centesimi.
La metropolitana di Napoli, di lì a poco prolungata, nel lato sud, fino a Gianturco, funzionò a vapore fino al 20 ottobre 1927. Poi la linea venne elettrificata con l’adozione della cosiddetta «terza rotaia», già in uso in altri analoghi esercizi d’Europa.
E divenne subito, a Napoli, quella «terza rotaia», lo spauracchio di uomini e donne, di bambini e di anziani. Molti indugiavano a guardare quel lungo asse metallico, paventando l’istante, per la verità alquanto improbabile, in cui un qualche viaggiatore incauto o scarsamente informato, si arrischiasse ad attraversare i binari col terribile risultato di rimanere lì per lì fulminato. Fiorirono, anzi, aneddoti agghiaccianti; si vociferava addirittura della fine raccapricciante toccata a un ragazzino che, per spiritosaggine, aveva osato fare la pipì sulla terza rotaia: «Morì carbonizzato, ma dopo morto continuava a pisciare». Uh, anima! Comunque, nel 1940,l’alimentazione elettrica verrà data, alla metropolitana, da una rete aerea.
E la direttissima Napoli-Roma, quella direttissima di cui la metropolitana di Napoli costituiva la parte terminale? Entrò in funzione il 31 ottobre 1927: meno di tre ore di viaggio. E la favola è finita.
Chi è Vittorio Paliotti
Vittorio Paliotti, giornalista di grandi settimanali illustrati e di quotidiani, saggista, narratore, commediografo, è nato e vive a Napoli ed è un profondo conoscitore della realtà partenopea. Fra i suoi libri:Storia della canzone napoletana (Ricordi, Milano 1958); La canzone napoletana ieri e oggi (Ricordi, Milano 1961); Casa con panorama(Rizzoli, Milano 1964); Napoli nel cinema (con E. Grano, ASCT, Napoli 1969); Forcella la kasbah di Napoli (Bideri, Napoli 1970); Totò principe del sorriso (Fiorentino, Napoli 1972); La camorra (Bietti, Milano 1973); Spara amore mio (Bietti, Milano 1974); Il Salone Margherita e la Belle Epoque (Benincasa, Roma 1975); La macchietta (Bideri, Napoli 1977); Donna di salvataggio (Rusconi, Milano 1978); Santa Lucia, dove Napoli nacque (ASCT, Napoli 1979); Napoletani si nasceva (Fiorentino, Napoli 1980); Il Vesuvio, una storia di fuoco (ASCT, Napoli 1981); La satira a Napoli (Langella, Napoli 1981); San Gennaro (Rusconi, Milano 1983); Storia della Canzone Napoletana (2000 ed. Newton&Compton); Napoli dopo «A nuttata»(2000 ed. Tempolungo); Vacanze dorate (2001 ed. La Conchiglia); San Gennaro (2001 ed. Bompiani); Il Salone Margherita e la Belle Epoque (2001 ed. Altra Stampa); Storia della camorra. Dal Cinquecento ai nostri giorni (2002 ed. Newton&Compton); Napoletani si nasceva (2004 ed. Newton&Compton) Napoli nel cinema. Pionieri e dive del muto tra fine ‘800 e primo ‘900 (2006); Proverbi napoletani (2007); Il Vesuvio. Una storia di fuoco (2007); Il Romanzo di Avventure. Da Robinson Crusoe a Tex Willer (2008); I Misteri di Villa Rosebery (2011); L’Italia chiamò (2011). Alcuni di questi libri sono tradotti persino in francese, inglese e tedesco.